BLA... BLA.. BLA.. il Monologo sul Serramento - Gruppo Ventidue Srl

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BLA...BLA... BLA… Il Monologo Sul Serramento.

Ti hanno detto che bisogna fare domande: aperte, non chiuse, mirate e convergenti ma se non impari a ascoltare le risposte che ricevi dal cliente (come abbiamo scritto nei precedenti articoli) otterrai sempre la stessa risposta : si, ma senza impegno, quanto costa? Parliamo tanto e comunichiamo poco: usiamo le parole per noi stessi, non per metterci in relazione con gli altri. Le parole se sono al servizio della comunicazione, sono un eccellente strumento di vendita.

Con gioia di parole ci riempiamo le mascelle  e in aria le facciamo rimbalzare  e se le cento usate sono in fondo sempre quelle  non è importante poi comunicare.

E’ un estratto dal testo di una vecchia canzone di Francesco Guccini, si chiama “Parole”, e proprio dall’uso e abuso delle stesse prende spunto per una canzone a tratti irriverente. Guccini è un cantautore e poeta, non siamo però tutti artisti, e il comune uso di quella facoltà chiamata parola deve essere attento, specialmente nelle relazioni commerciali.

Quante parole riempiono le nostre giornate, quante ne sentiamo, quante ne diciamo! Ma quante ne capiamo? E quante di quelle che diciamo vengono capite? Insomma quanto del nostro parlare è comunicare? La differenza tra parlare e comunicare è infatti marcata, per quanto spesso confusa dato che entrambi fanno uso della parola. “Parlare” significa dire qualcosa attraverso le parole, non a caso deriva del termine “parabola”, di origine greca, assai in uso tra i primi cristiani.

Nella lingua latina pre-cristiana parlare si diceva invece “loqui”. “Comunicare” viene dal latino, significa mettere in comune ed è proprio comune (“commune”) la parola composta che ha valore di compiere il proprio incarico, la propria funzione con gli altri (“cum” + “munis”). L’excursus storico linguistico sull’origine delle parole è illuminante: il significato dei due termini è completamente diverso e ha un valore altrettanto differente.
Parlare ha un valore personale (si può parlare per se stessi) Comunicare un valore sociale (si comunica se c'è un'altra persona).

Per comunicare è necessario parlare (anche se conosciamo il grande peso che assume anche l’aspetto non verbale), ma non tutto il parlare è comunicare.
E’ comunicare solo se la parola arriva al destinatario, se serve alla trasmissione di un messaggio, se quindi assume significato comune e valenza sociale. Per avere valore comunicativo la parola deve essere compresa e condivisa.

Torniamo alla domanda con cui siamo partiti: quanto del nostro parlare è comunicare? Pensiamo alle nostre conversazioni verbali, alle nostre telefonate, ai nostri dialoghi di lavoro.

Quante parole senza significato, quante frasi fatte, quanto rumore per nulla! Quanta paura del silenzio, però, che abbiamo, se passiamo il nostro tempo a riempirlo di parole! E quanto riceve il cliente durante questi monologhi? Ci siamo mai domandati da dove nascono i contrasti, gli errori, i fraintendimenti, i conflitti, e, nell’ambito commerciale i mancati successi, le trattative sfumate, la perdita di clientela? Forse dalla mancanza di comunicazione. Che non è mancanza di parola, anzi, spesso è proprio un eccesso.

La colpa è di chi non ci ascolta? O forse chi abbiamo di fronte sente senza ascoltare perché noi parliamo senza comunicare? Come possiamo pretendere di essere capiti, se abbandoniamo qualsiasi sforzo comunicativo? Se non cerchiamo di entrare in contatto con chi ci ascolta? O meglio, con chi ci è di fronte e ci dovrebbe ascoltare?

Si è un po' come commessi viaggiatori  con campionari di parole e umori a ritmo di trecento e più al minuto

Procediamo meccanicamente nel parlare, diciamo sempre le stesse cose, attingendo da un campionario, da un listino preconfezionato, chiunque abbiamo di fronte. Sarà un caso che il cantautore abbia utilizzato, come esempio negativo, proprio una professione commerciale? Cominciamo discorsi senza sapere dove andiamo a finire, forse perché non abbiamo le idee chiare.

Ne facciamo altri, in particolare nelle nostre proposte di vendita, standardizzati, ripetuti e ripetitivi, uguali per tutti, forse perché non siamo capaci, o abbiamo paura, di intavolare una relazione, un rapporto serio con chi abbiamo di fronte.

In questo caso dimostriamo di non conoscere i nostri interlocutori. Non ascoltiamo, ma parliamo soltanto, probabilmente perché erroneamente interpretiamo come attiva questa azione, mentre passiva quella dell’ascolto. Alcuni parlano di ascolto passivo, come attività di relazione! Senza ascolto, non conosciamo, e le nostre relazioni basate sulla parola non ci portano al confronto, ma allo scontro: parliamo senza soluzione di continuità, invadiamo lo spazio degli altri, li pressiamo, li critichiamo, li interrompiamo, li sminuiamo, facciamo tutto tranne che mettersi sul loro piano.

Anche quando ci illudiamo di ascoltare, spesso non lo facciamo: quello che noi crediamo essere ascolto è in realtà solo attesa che il potenziale cliente finisca per ribattere quel che abbiamo pensato mentre lui parlava.
La ricezione in questi casi è minima perché a noi non interessa “parlare a”, ma “parlare di”.

Non saremo buoni comunicatori, ma solo loquaci oratori, finché non ci metteremo nell’ottica che capire chi si ha di fronte è la base per un dialogo proficuo.

Siamo ancora convinti che per farci capire, per concludere una vendita, sia necessario parlare a fiume? Magari con quel “campionario di parole e umori”, uguale per tutti? O forse per far sì che da parte del nostro interlocutore ci sia una ricezione del nostro messaggio, basta acquisire una nuova e sana abitudine: essere più attenti nell'ascolto e comunicare come l'altro. Certo non è semplice oppure per il superficiale, è fin troppo semplice! Quante volte abbiamo commesso quest’errore nel nostro ambito, nelle trattative commerciali, nell’esposizione dei nostri prodotti alla clientela? E magari ci siamo domandati come mai un’illustrazione, una descrizione così dettagliata da parte nostra non abbia avuto successo, come mai il cliente non si è convinto.

Forse non serviva tracimare di parole, ma calibrarle.

Delle parole non è importante la quantità, ma l’efficacia e la giusta ripartizione tra i due interlocutori. Impariamo a trasformare il nostro monologo sul serramento in un dialogo con il cliente, stacchiamoci dallo stretto legame all’oggetto, mettiamo al centro il cliente. Perché si parla per convincere, si comunica per condividere: cambierà l’uso che facciamo delle parole, cambierà la quantità, cambierà il ritmo, cambierà il nostro modo di pensare il rapporto col cliente.

Il mio messaggio vuole essere forte e penetrante: prima pensa e poi comunica, perché parole poco pensate portano pena! La mancata vendita non è dovuta al costo del serramento, ma alle passate abitudini. Ricordiamoci che siamo nell'anno 2014 e niente tornerà come prima, anche se qualcuno continua ad aggrapparsi al passato per avere risposte nel presente.

Dott.ssa Patrizia Esposito
Articolo pubblicato nella rubrica maketing del mensile Showroom Porte e Finestre Milano

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